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venerdì 12 giugno 2009

Francesco Di Domenico





Eccomi alle prese con le mie impressioni di lettura su “Storie brillanti di eroi scadenti”.
Non è stato facile, tra ridere, ridere e ancora ridere, avere le idee chiare nel leggere il libro fantabolico (licenza del recensore) di Francesco Di Domenico.
Ecco intanto come l'Autore introduce, con evidente impegno socio-filosofico, ad alte quote:
“Spezzare le catene del proletariato” dice Ugo Statt prima di incontrare Franz Ferr (dal fatidico incontro derivò il teorema di Fer-Statt).
“Prima una carestia degli i-Pod: una crisi strisciante”. Siamo nel 2020 e RenzoArbore suona ancora il clarinetto a 93 anni suonati. Vi interessa sapere come si è arrivati a tanto?


Basta leggere il libro e tutto vi sarà chiaro.
“American coffee”, non future idee peregrine: qui si tratta di suonare strumenti impropri in maniera appropriata. Ecco.
D'altra parte, per uno che si fa arrestare per aver scritto “Cassonetti in fiamme” c'è poco da perorare: non so quanto possiate avere a cuore la sorte di Padre Amedeo, piissimo frate: “iniziò la missione con una proficua questua nei dintorni; gli offrirono uno stereo a sei canali al quarzo, molte borsette di coccodrillo e portafogli in vera pelle”...
“Il giudice Pio Lo Monaco lo incriminò per associazione a delinquere con l'aggravante della fede.
Uscì dopo sei anni, undicimila avemaria e tre suppliche al vescovo...”
Probabilmente a questo punto nemmeno sareste tanto meravigliati se nel “Centro Antidiabetico di Abano Terme... non c'erano le olive, così nessuno pensò di servire dei Martini, ma Mergellina non è Manhattan, e io non sono Raymond Chandler”
Per non parlare delle pratiche a garanzia delle molle dei letti della prof. Essa Titina Centoletti detta Titti, che così si rammarica con il prof. Teophilo Grand'Ascione: “ Durante uno studio approfondito, mentre ero di spalle, mi si è prodotto, anziché una poesia, un violento jodel: pensa che sto per approdare a nuove scoperte?”
Vi inerpicherete a Montesudario tra lupi, porcellini e criceti, ma se qualcuno vi declamasse “La pioggia sul criceto” non penserete mica al Vate, eh?
Naturalmente non vi sorprendereste nemmeno se un angelo andasse “su alcune furie (è raro che un angelo vada su tutte)...
Infine l'atmosfera si fa cupa e misteriosa:”Il tempo minacciava; in quei tempi violenti (2030 o giù di lì-ndr) anche il tempo era violento”
Mentre:
“Un'ombra si aggirava tra le ombre; oltre a lei non c'era ombra”
E così, giunti alla fine (del libro) abbiamo il dovere di dare ascolto allo scrittore-pittore che, in un ultimo vibrante appello, supplica:
“Vi prego, assumetemi.”

cristina bove

venerdì 15 maggio 2009

Andrea Vitali

recensisce Andrea Vitali


ALMENO IL CAPPELLO
di Andrea Vitali - ediz. Garzanti 2009
ISBN 978-88-11-68606-4

Scrivere una recensione ha nella maggior parte dei casi lo scopo di far conoscere un libro letto ad altri lettori ed indurli all’acquisto. È un modo di far pubblicità descrivendone soprattutto i pregi, che possono riguardare, se si tratta ad esempio di un romanzo, la storia narrata, gli intrecci, le caratteristiche dei personaggi, lo stile di scrittura, la piacevolezza ed altro.
Nel caso dei romanzi di Andrea Vitali questo scopo “pubblicitario” viene meno perché lo scrittore è ormai molto noto ai lettori, non solo italiani, e il successo di vendita dei suoi libri, oltre ad alcuni premi letterari vinti, fanno pensare che forse non servirebbe neppure una recensione, poiché basta sapere che è in libreria un suo nuovo testo e la curiosità spinge all’acquisto, con la speranza e/o la certezza che ancora una volta si troverà qualcosa di piacevole da leggere e non si resterà delusi.
Personalmente, tuttavia, penso sia gratificante in sé scrivere le impressioni di lettura su un romanzo, perché spesso i punti di vista dei lettori differiscono e una recensione potrebbe rivelare alcuni elementi che non tutti potrebbero aver colto.
Il nuovo romanzo di Andrea Vitali, Almeno il cappello, ambientato in Bellano e nei paesi vicini, mentre conferma la capacità di scrittura scorrevole e limpida dell’autore, aggiunge delle caratteristiche peculiari a tutta la trama narrativa che, pur presenti in alcuni dei suoi precedenti scritti, sono qui molto più evidenti.
Si tratta, dal mio punto di vista, della rivelazione di un certo modo rassegnato di vivere, negli anni del fascismo, che non è strettamente legato allo stato di soggezione in cui ci si sentiva, né dipendente dall’aria che si respirava allora, in fatto di libertà, quanto determinato da una semplicità intrinseca all’animo dei cittadini di un piccolo paese di provincia.
Questi avevano, infatti, scarse opportunità di fare esperienze al di fuori della ristretta cerchia di persone conosciute, tranne pochi casi di persone che per motivi di lavoro si spostavano nei paesi del circondario, fino alla sponda opposta del lago e, solo di rado, fino alla città di Como, in luoghi, peraltro, dove non si viveva tanto diversamente.
I personaggi che si muovono in questo romanzo sono dunque delle persone semplici che non si pongono troppi problemi, ma che hanno voglia di vivere una vita dignitosa e, possibilmente, resa più accettabile da qualche piccola soddisfazione.
Il loro animo è e rimane libero, in quanto la gestione politica della loro vita non viene del tutto subita, anzi, coltivando le amicizie giuste con le persone giuste, e pur senza entrare in contrasto con le leggi in vigore, si riesce talvolta ad ottenere dei favori, che non sono affatto da confondere con “favoritismi”, ma che anzi hanno tutta l’aria di rispondere al consentire l’esercizio di un diritto da parte di chi detiene un certo potere.
La trama narrativa del romanzo è ben congegnata, e ruota attorno alle vicende familiari e personali non di uno solo, ma di ben due protagonisti: il suonatore del bombardino, (inizialmente nella fanfaretta del paese di Bellano e successivamente nella costituenda Banda o Corpo musicale vero e proprio) e il nuovo ragioniere, competente e molto responsabile, dell’ospedale, nonché nuovo direttore della Banda stessa.
La leggerezza del racconto è tale da far scivolare nella mente le pagine in un susseguirsi di azioni e reazioni che suscitano curiosità in molti modi: a volte perché le situazioni narrate hanno del paradossale, a volte perché sembrano addirittura ridicole, a volte perché vengono alla luce delle intrusioni inaspettate che sembrano deviare il corso naturale degli eventi, a volte ancora perché gli stessi personaggi si sorprendono della loro stessa ingenuità e cercano dei sotterfugi o delle modalità comunque bonarie di far tornare le cose per il verso giusto. Non mancano, ad alleggerire la pesantezza di certi vissuti familiari, degli eventi su cui l’autore, attraverso alcuni dei suoi personaggi, fa aleggiare l’ironia e un certo modo gioviale di prendere la vita. Così come non mancano le sottolineature riguardo alle gattopardesche posizioni degli amministratori comunali, che rimandano decisioni, quando non le capovolgono, responsabilizzando sempre “altri” riguardo all’incapacità di risolvere problemi, che generalmente sono sempre piuttosto banali, ma che vengono fatti passare quasi come insormontabili, al punto da dover coinvolgere “il partito” e/o chi ha voglia di assumersi qualche responsabilità.
In questo, nulla di diverso dai tempi attuali, par di capire!
Anche se coerentemente con quanto ci si potesse aspettare dalla natura dei personaggi in azione, la storia non termina bene, perché non è una fiaba dove alla fine “tutti vivono felici e contenti”, ma è una realtà, o comunque una ripresa-ricostruzione di una realtà verosimile, in un contesto spazio-temporale e socio-culturale particolare, in cui le ripercussioni di ogni azione, reazione, decisione o indecisione, retroagiscono sulle persone, determinandone umori, stati d’animo, caratterialità, talvolta imprevedibili.
Un esempio ne è il direttore del Corpo musicale bellanese, che a seguito della sfortunata inaugurazione mancata della “sua” banda nel giorno della festa dei SS. patroni del paese, si ammala di una sorta di depressione che gli preclude ogni ulteriore possibilità non solo di far musica, ma addirittura di interessarsene o di ascoltare qualsiasi parvenza di suono che gliene ridesti il ricordo.
E ancora, coerentemente con la taccagneria dimostrata dal podestà del paese (per l’acquisto delle divise dei componenti del Corpo musicale, ad esempio, o per rispondere ad altre esigenze), il quale dopo la morte improvvisa del suonatore del bombardino voleva che si recuperasse “almeno il cappello”, emerge, a mo’ di specchio, l’avidità di un ragazzo che, durante una “fortunata” battuta di pesca ritrova nel lago proprio quel cappello e in esso scopre una sorpresa: nascosto dentro una cucitura interna c’è il valore quasi totale dell’intera divisa, (ottanta lire su cento), che il suonatore del bombardino era riuscito ad ottenere subdolamente dalla moglie, ma che non era riuscito a spendere per intero nelle osterie per soddisfare il suo bisogno di libertà. Per il ragazzo è il ritrovamento di un piccolo tesoro. E comunque sia, si tratta di piccoli quadri di realtà.
In tutte le situazioni narrate, i personaggi sono connotati proprio da quella caratteristica di cui si diceva all’inizio: è palpabile in ognuno, in maniera diversa e molto personale, l’arte di riuscire a recuperare dalla vita momenti di benessere, (pur con una certa dose di rassegnazione), nella maggior parte dei casi in modo leale ed innocente, qualche volta anche con piccoli sotterfugi che però non dipingono mai chi ne fa uso in modo negativo, perché sempre c’è una sottile linea di bonomia nei loro confronti da parte degli altri cittadini o conoscenti. A dimostrazione, quasi, di una certa solidarietà fra le persone che nei tempi in cui il romanzo è ambientato e in piccoli paesi come Bellano, costituiscono una vera e propria comunità.
Ecco, dunque, il pregio maggiore di questo romanzo di Andrea Vitali: raccontare alcuni aspetti della vita di una piccola comunità in un tempo, per altri versi, difficile, e mostrare la semplicità, l’ingenuità, ma anche l’attaccamento reciproco delle persone tra loro, e una solidarietà quasi scontata, un interesse per le vicende dei compaesani che non è pura curiosità o, come si direbbe oggi, gossip, bensì un modo per entrare in sintonia e poter essere anche d’aiuto quando ciò dovesse servire. Per ultimo, vorrei ri-sottolineare la scorrevolezza della narrazione, che si serve di frasi brevi e d’effetto e di un lessico familiare che rispecchia e caratterizza ancor meglio i personaggi la cui cultura è di tipo contadino; e infine una capacità dello scrittore di tenere desta dall’inizio alla fine la curiosità del lettore, il quale non si perde mai nella trama pur intricata delle varie situazioni narrate, anzi acquista una certa familiarità al punto che vorrebbe suggerire a volte, a qualche personaggio più sprovveduto, dei comportamenti diversi per un esito migliore e più soddisfacente per lui.

M. Carmen Lama

lunedì 23 marzo 2009

Hitler era innocente



“Hitler era innocente” di Aldo Moscatelli

Recensione a cura di Cristina Bove

Che non si tratti di un libro qualunque lo si capisce già dalla copertina, rigorosamente nera, senza frontespizio, come a non dare adito a qualità alcuna che non sia quella dell'assoluta oscurità.
L'argomento, del resto, non lascia spazio ad escursioni fantasiose, tanto meno ai colori di un normale vissuto o di una qualche speranza.
È un libro, questo, che dovrebbe essere letto da tutti, acquisito come testo scolastico, perché è una documentazione straordinaria del pericolo cui le società tutte sono esposte se una ideologia attecchisce prevaricando le menti, in maniera apparentemente epidemica, in realtà come un morbo subdolamente endemico.
Ed è questo che, più di ogni altra considerazione, inquieta.
L'Autore narra in prima persona, attraverso il protagonista: un lettore onnivoro, diventato, ancora giovanissimo, appassionato libraio. “Lettore della peggiore specie, quello da sbornia, avevo già divorato centinaia di libri...”
Questi viene denunciato da un ragazzino che si insospettisce quando lui gli consiglia di leggere Thoreau e lasciar perdere il Mein Kampf,.
Arrestato sarà deportato nel famigerato Lager Libertà.
Subirà ogni genere di privazione e umiliazione, con “...un'atroce consapevolezza: mai più avrei letto, o anche semplicemente sfogliato, un libro.”
C'erano colori, nel lager: rosa quello degli omosessuali, verde quello dei criminali comuni, rosso i contestatori politici, nero gli asociali, stella gialla gli ebrei.
Al protagonista, Felicien, viene assegnato il nero. La sua attività era considerata estremamente pericolosa: offrire la lettura, il sapere, la conoscenza che illumina la mente, pessime cose, tutte, sotto ogni dittatura.
Da qui si snoda il resoconto di una prigionia così prossima alla morte da esserne tallonati giorno dopo giorno, in un incredulo susseguirsi di eventi tragici e terribili, di ferocia talmente disumana che è impossibile rapportarla a una qualunque parvenza di vita.
Eppure di vita si tratta, di vita ridotta all'osso (e non è una metafora), di vita che solo un filo sottilissimo di casualità separa dalla morte, e nella quale si finisce per “...porsi delle domande cui un singolo uomo non può offrire risposta...”
Continua, questa pseudo-vita, nella disperazione che a volte appare quiescenza, al limite tra ragione e follia.
Pochi uomini riescono a mantenere il senso di un sé deprivato comunque dei connotati umani naturali, ridotto a un mero sussistere di funzioni essenziali, quali ingurgitare fetidi e irrisori alimenti, quel tanto da poter sopravvivere, in condizioni talmente obbrobriose che sarebbe auspicabile morire.
Deprivati di sentimenti, emozioni, pulsioni naturali e fisiologiche.
Ridotti a nulla, scheletri anche nell'anima.
Di vivo c'è soltanto un residuo di pensiero.
È quello che salverà Felicien e pochi altri dallo sterminio programmato.
L'Autore si avverte dietro ogni parola, lo si sente appassionato nel tentativo di comunicarci l'orrore di una storia che purtroppo è anche Storia.
Amaramente deve constatare, sempre immedesimandosi nel protagonista, che non basta sopravvivere a una sorte disumana per sentirsi di nuovo “simile tra simili”né basta far conoscere le atrocità di un evento, che mai avrebbe dovuto verificarsi, perché perfino la memoria si inceppa e il narrarne potrebbe diventare addirittura “vuota retorica...ottuso pessimismo...forse”.
Occorre allora essere realisti per “...impedire così che la barbarie nazista torni a manifestarsi fra noi senza che almeno un essere umano urli: io non ho dimenticato!”
Se si uccide il passato, si può uccidere anche il futuro.
Ci mette sotto gli occhi la verità: “...Un uomo senza memoria è destinato a commettere vecchi errori, a cancellare tutto quello che ha imparato. Un uomo che non ricorda non ha nulla da insegnare, perché nulla sa. Un uomo che non ricorda è un uomo inutile.”
Nell'oscurità dell'oblio può annidarsi il germe di quell'idea che può portare ancora a un nuovo Hitler, paradossalmente innocente per essere quello che è, ma possibile trasmettitore di tare ideologiche ai suoi discendenti, qualunque sia il paese che li partorisce, figli di ignoranza tenebrosa, essi i veri colpevoli, per averne sostenuto, attivamente o con l'ignavia, la disumana follia,
Loro i veri colpevoli, sì.
Hitler era innocente.

Barbara Garlaschelli

Copertina anteriore



l'ho letto d'un fiato, bevendone parola per parola, e non solo perchè lei scrive divinamente, no, perchè ero lì con lei, accompagnavo i suoi pensieri, le sue giornate straziate... E mai un lamento, mai una recriminazione. Sembra incredibile, trovare tanta dignità e potenza nelle parole di un essere umano. Lei è così, forte, ha vinto e continua a vincere ogni giorno se stessa e la vita.
Questo è un libro autobiografico, eppure senza alcuna traccia di compatimento per il dramma vissuto.
Barbara emana un'energia tenace che porta il lettore sempre oltre la scena reale, oltre il soffitto che incombe, oltre le pareti che la rinserrano, con i suoi pensieri che non si arrendono al corpo.
Tante volte mi sono chiesta: ma io, al suo posto, cosa avrei fatto? Avrei avuto il suo coraggio e la sua determinazione?
La risposta che mi sono data è stata sempre insoddisfacente, sempre un punto più in basso.
Lei è un fiore d'acciaio, con un equilibrio stupefacente, anche quando è in bilico, anche quando nelle sue parole trapela tutto quello che non dice.
La sua fragilità di ragazza, di donna poi, l'ho sentita come una cosa preziosa, raccolta nella sua interiorità più profonda, non detta ma presente in piccole sfumature di “voce”, e la sua ha timbro di violoncello, per me il suono più potente, soave e vibrante di qualsiasi altro strumento.
Avrei voluto scrivere queste mie sensazioni subito, ma non ce l'ho fatta, la commozione aveva sempre la meglio e non mi dava modo di allontanarmi da lei e dalla sua dolorosa esperienza.
Ora che tutta l'emotività si è stabilizzata in un misto di ammirazione, stima, desiderio di abbraccio, ho potuto anche fissare i miei pensieri ed esprimere le mie, personalissime, impressioni.
È chiaro che ne consiglio la lettura a chiunque abbia un'anima sensibile e voglia immergersi in una straordinaria scrittura.


cb

 

domenica 1 marzo 2009

Zainab Salbi

Recensione di Carmen Lama




Una donna tra due mondi

(La mia vita all’ombra di Saddam Hussein)

Zainab Salbi ha avuto lo sfortunatissimo privilegio di essere la figlia del pilota personale del dittatore iracheno e, insieme con la sua famiglia, di essere accolta nella cerchia degli amici più vicini alla vita di palazzo. Con la strana caratteristica, tuttavia, di essere considerata dai più intimi del Presidente qualcosa di meno di loro e dai suoi stessi amici come qualcosa di più di loro, così da appartenere contemporaneamente a due mondi che in qualche modo le risultavano estranei o che tale la facevano sentire.

Questo libro è una testimonianza terribile delle atrocità commesse dal dittatore Saddam, non soltanto a danno del suo stesso popolo, assoggettato fin nella possibilità di pensare, ma anche della stessa Zainab e dei suoi familiari (genitori e due fratelli minori di lei), in questo caso con ferite gravissime nell’anima mai più rimarginabili, nonostante il “disgraziato” privilegio di vivere a stretto contatto con lui e con tutto il suo entourage ed evidentemente ancora di più proprio per questo. L’autrice racconta particolari agghiaccianti del comportamento di Saddam, il cui tenore di vita è sempre stato improntato ad un lusso sfrenato consentito da circostanze astutamente e malvagiamente create a danno di tutti gli iracheni.

Noi probabilmente conosciamo alcune situazioni la cui eco è risaltata attraverso i media nelle nostre case al tempo della Guerra del Golfo, ma le informazioni a suo tempo trasmesse in TV e riportate sui giornali sono una minima parte di quanto avveniva nella realtà quotidiana in Iraq. L’autrice è stata talmente segnata in profondità che non riusciva neppure a pronunciare il nome del dittatore, fin quando egli era in vita, anche dopo il suo allontanamento dal potere (e dall’Iraq) ad opera di Bush. Scrivere questo libro l’ha aiutata a recuperare tratti del proprio passato che aveva cercato non di rimuovere ma addirittura di cancellare, relegandoli nel punto più profondo e distante della mente, rispetto alla consapevolezza, per poterli rielaborare.

La sua esistenza è stata devastata dalla paura a tal punto che aveva paura della sua stessa paura.

È stata derubata dei suoi princìpi, sostituiti con le sole idee che tutti gli iracheni indistintamente dovevano avere, e che erano le idee di Saddam. Le torture fisiche subite da moltissimi suoi connazionali anche per futili motivi probabilmente potrebbero essere prese come un paragone con le torture psicologiche subite da Zainab e da tutta la sua famiglia, ma queste ultime hanno avuto esiti molto più tragici, perché l’anima ferita in profondità è inguaribile.

Zainab è riuscita a sfuggire alle grinfie del dittatore che su lei appena giovanetta aveva messo gli occhi, come aveva fatto con moltissime altre donne giovani e meno giovani, sottomesse con violenza in molti modi, solo grazie alle sofferenze a cui ha dovuto andare incontro la madre di lei nel tentativo di sottrarre la figlia ad esperienze ancora più terribili di quante ne avesse già subite.

La storia che l’autrice racconta è la sua personale e quella della sua famiglia e delle persone a loro più vicine, ma inevitabilmente è anche la storia di Saddam. Non vengono trascurati dettagli importanti, pur se ignobili, per dare il senso pieno e profondo di un trentennio di tirannia che forse non ha uguali nella storia.

Con il definitivo trasferimento di Zainab negli Stati Uniti, e solo dopo la morte del dittatore iracheno, ha potuto prendere forma questo libro-testimonianza, anche grazie al lavoro svolto dall’autrice che ha fondato l’Associazione “Donna per la donna” con lo scopo di aiutare tutte le donne vittime di tirannie nei propri stessi paesi. In quanto Presidentessa di questa Associazione no profit, la Salbi è venuta a conoscenza di storie terribili in diverse altre parti del mondo oltre che in Iraq e ha aiutato le vittime a raccontarle, finché si è resa conto che aveva paura di raccontare la sua storia altrettanto terribile.

A sua volta con l’aiuto di una giornalista che l’aveva conosciuta molti anni prima e del suo “dolcissimo” marito che l’ha sempre affiancata nel condurre l’Associazione, è riuscita a raccontare moltissime cose di sé, della sua sfortunata e travagliatissima vita “all’ombra di Saddam Hussein”, ma le è costato un enorme sforzo psicologico.

Leggere questo libro mi ha reso ancora più consapevole (se ce ne fosse bisogno) non solo di realtà che spesso i media non ci sottopongono o, se lo fanno, lo fanno in modo tanto superficiale da risultare inutile e vano, ma mi ha anche dato il senso della forza e determinazione di molte donne, da un lato, e dell’infimo degradarsi di certi uomini, dall’altro.

In questi giorni in Italia si continua a parlare di stupri, e non ci si indigna mai abbastanza.

Ma l’autrice ci racconta che sono stati istituzionalizzati appositi campi di stupri in zone martoriate da guerre assurde e nessun governo forte (Stati Uniti in testa) non solo non ha prevenuto azioni tanto turpi e disumane, ma neppure le ha condannate né eliminate, se non al termine delle guerre (Bosnia, Kossovo, ecc..).

Non ci si indigna mai abbastanza finché questi orrori non verranno ritenuti dei crimini peggiori delle stesse torture, per i quali dovrebbero essere previste le pene più severe.

L’avere scritto questo libro fa onore all’autrice, perché esalta la sua dignità di donna e quella di tutte le donne la cui umanità esula dal “genere” per essere una caratteristica strettamente individuale. E va dato merito e onore anche a quegli uomini che insieme a lei si occupano attivamente di debellare questo endemico crimine che degrada coloro che se ne macchiano al di sotto del livello delle bestie.

Le testimonianze della Salbi sono tanto nette e dettagliate che il libro può essere considerato un vero documento storico, da cui si evince purtroppo molto chiaramente quanto ho fin qui scritto.

Non ho voluto di proposito, in questa recensione, soffermarmi su particolari di maggior rilievo, perché il libro intero ne è pieno e pertanto merita solo di essere letto integralmente.

Carmen Lama, 16 febbraio 2009

venerdì 27 febbraio 2009

viole(n)t red





“ Fuori la luce della luna oscillava insieme al movimento delle nubi spinte dal vento, Alanna si affacciò dalla sua tana di cemento e vide la luce fredda e bluastra disegnare le figure di un uomo e di una donna.

Lui era sdraiato sotto e lottava per liberarsi. La donna gli stava sopra e gli stringeva la gola.

La luce della luna scintillò su una ciocca argentea…”



Siamo a poco meno della metà del libro, non potete immaginare l’antefatto né potete proiettarvi nel prosieguo. Dunque?

Dunque dovreste leggerlo.

Ve lo consiglia una che non si è mai appassionata a questo genere, eppure si è lasciata travolgere dalla vis narrativa delle due sorprendenti “gialliste”.

Laura Costantini e Loredana Falcone sono una forza della scrittura, insieme creano romanzi di grande spessore letterario, con minuziosa attenzione ai particolari e descrizioni di fatti storicamente ineccepibili.

A questo si aggiungano inesauribile originalità e fantasia, e il gioco è fatto.

Anche in questo viole(n)t noir danno vita e risalto a tutto un contorno di personaggi ed azioni degno dei più noti giallisti.

Molta cura nel procedere della storia, nel rendere sia le atmosfere che i sentimenti.

L’umano, per quanto anomalo, resta pur sempre umano. È forse questa la chiave segreta che le AA usano con maestria, mantenendo desta l’attenzione del lettore, inchiodandolo alla poltrona, libro in mano, fino all’epilogo.

Insomma, proprio da non perdere!

giovedì 5 febbraio 2009

Identità distorte




Casa Editrice:
Prova d’Autore
Genere: Narrativa romanzo
Dati: pag. 154
ISBN: 9788888555614
Prezzo: € 10,00



Massimo Maugeri

Una ghianda, una testa di gufo, una cantina materiale e una dell’inconscio. Una metropoli che è il centro di una ragnatela così vasta da includere tutti i paesi del mondo, e un ragno che ne tesse i fili tenaci, vischiosi, inclusivi. Inutile dibattersi.
Massimo Maugeri ha l’abilità di rendere tridimensionale anche il pensiero. Scrive della follia del singolo come esito della follia del disordine sociale. Quest’ultima lucidamente composta nella tessitura coattiva del tecnicismo, che è anche appropriazione di tutti i livelli di coscienza.
Nessuno si salva dalla logica di questo potere.
Il ragno è l’emblema di una realtà che assedia già, dalla quale non c’è più scampo.
Come un’infiltrazione che, dopo aver attaccato l’organimo-società, ne ha invaso i minimi capillari della struttura portante: i singoli uomini, volenterose vittime, o inconsapevoli carnefici, e viceversa.
Fin qui si spinge ormai il Potere, supportato dalla tecnologia: nulla e nessuno si salva dall’impiego di essa ai fini del Controllo, da quello finanziario a quello psicologico.
Le masse sono greggi da mungere e da condurre al pascolo, in un circolo vizioso per le pecore, virtuoso per il pastore.
L’Autore spazia con la spietata analisi delle interfacce su cui vengono giocati vite e destini.
Le chiavi di decifrazione vengono supposte con cautela, quasi a suggerire come sia impossibile sottrarsi al Progetto di:”… controllo sulle TV del resto del pianeta, incluse quelle mediorientali…Le televisioni, i giornali, i media, se ben gestiti, formano le coscienze, indirizzano i popoli. È un grande, fantastico progetto…”
In cui si innesta uno straordinario Dono, misterioso e inquietante,
metafisica del Potere.
Ancora più impossibile sottrarsi, quindi, se non scavalcando i fili della logica binaria.
Occorre un terzo elemento, quello capace di porsi oltre i codici delle apparenze insormontabili: l’amore.

Cristina Bove

giovedì 8 gennaio 2009

Giardino dei poeti



Recensione di Renzo Montagnoli



Il Giardino dei Poeti
Antologia di poeti italiani
di AA. VV.
Edizioni Historica – Il Foglio letterario
Poesia antologia
Pagg. 188
Nella vita di oggi, se pur convulsa e quasi sempre arida, può tuttavia accadere qualche evento del tutto speciale, che ha quasi il sapore di una favola.
Potrei dire subito di che si tratta, ma ritengo sia giusto partire dall’inizio, da un blog ideato da Cristina Bove e che lei ha chiamato Giardino dei poeti, ove ospita opere di altri autori. Si tratta di poeti dilettanti, ma il termine non vuole essere spregiativo, bensì semplicemente indicare persone che amano mettere in versi le loro emozioni senza che poi queste finiscano su volumi o che gli autori facciano parte di correnti letterarie più o meno ufficiali. Uno non è poeta perché ha vinto il premio Luzi o addirittura è stato proposto per il Nobel, no, uno scrive poesie perché esprime così quanto di meglio c’è nel suo animo, in un ipotetico dialogo prima con se stesso e poi con altri, con i lettori.
Ho divagato un po’, ma per sottolineare che il termine dilettante non è equivalente a meno capace, ma eventualmente solo a meno conosciuto.
Poi, a Cristina Bove e ad altre signore che appaiono su questo blog, è venuta un’idea veramente magnifica: perché non mettere in un libro tre poesie per ogni autore presente nel Giardino, in modo che quello che prima era solo possibile leggere a video poi non diventi normalmente accessibile senza collegamenti?
E’ nato così il libro Il Giardino dei Poeti, una vera e propria antologia che ha potuto essere realizzata anche con il prezioso contributo di Francesco Giubilei, tanto che il volume risulta edito da Historica-Il Foglio letterario.
Come ogni libro che si rispetti, a parte la dedica a Daniela Procida, poetessa purtroppo prematuramente scomparsa, ha la prefazione e addirittura un’eccellente postfazione di Domenica Luise sull’evoluzione della poesia italiana dal Medioevo a oggi.
Sono 188 pagine di lettura veramente assai gradevole, con poesie di diverse tipologie, che appagano senz’altro l’animo e che rappresentano un prodotto di ottimo livello, che non sfigurerebbe nemmeno nel catalogo di editori blasonati. E’ un vero peccato che l’opera non sia in vendita (gli stessi autori-produttori hanno finanziato l’impresa con l’acquisto di copie della stessa), ma c’è la speranza che un’eventuale, e non improbabile, seconda antologia possa seguire i normali canali commerciali.
Da ultimo è doveroso un breve cenno all’indovinatissima foto di copertina, realizzata da Gloria di Simone, un giardino con diversi fiori che sfumano in un sogno.
Di seguito mi sembra giusto riportare i nomi degli autori, rigorosamente in ordine alfabetico:
Bruno Amore, Ariel, Maria Attanasio, Tinti Baldini, Emma Barberis, Elia Belculfinè, Armando Bettozzi, Nunzia Binetti, Paola Boriero-Pippi, Cristina Bove, Doris Emilia Bragagnini, Annarita Campagnolo, Franca Canapini, Ezia Caredda-(F’ez), Natàlia Castaldi, Davide Castiglione, Wilma Marian Certhan, Milvia Comastri, Umberto Crocetti, Gloria D’Alessandro, Antonella Diamanti-Mitla, Pasquale Esposito-Eventounico, Titti Ferrando-Alleluhia, Giulio Ghiani, Giovanna Giordani, Gaetano Gulisano, Orsola Hochkofler-Erandoro, Gianni Langmann, Domenica Luise-Mimma, Paola Marasca, Renzo Montagnoli, Virginia Murru, Gabriele Piretti, Daniela Procida, Margherita Pruneri, Guido Ranieri Da Re, Paola Sagrado, Angela Sias, Salvatore Scollo, Domenico Sergi, Enzo Sibilio, Giuseppina Vitale, Valentino Vitali, Anileda Xeka, Beatrice Zanini.
Sì, ci sono pure io e sono orgoglioso di fare parte di questo gruppo di poeti.
Giardino dei Poeti il blog:

martedì 16 dicembre 2008

doppio squeeze

Doppio squeeze



fatte da me 135Leggere

Enrico Gregori

è andare sul sicuro.

Già quando lessi il suo primo libro “Un tè prima di morire” capii di trovarmi davanti a un ottimo livello narrativo, una bella tessitura tra personaggi e ambientazioni. E ne scrissi anche le mie impressioni di lettura: le troverete qui.

Nel suo nuovo libro, fresco di stampa, “Doppio squeeze”, mi sono lasciata andare completamente al flusso della storia, narrata con equilibrio magistrale tra giallo, nero, spy.

A parte lo stile, inconfondibilmente “gregoriano” che è già di per sé oltremodo godibile, c’è l’abile risalto dato ai personaggi, ciascuno con le proprie peculiarità, manie e sottigliezze psicologiche, degno di uno scrutatore di tipologie umane.

Sicuramente la sua professione lo porta a conoscenze del mondo criminale cui noi, “gente comune” non abbiamo nemmeno l’accesso.

Mi meravigliai di me stessa quando scoprii che mi stava piacendo il suo primo, a me che non frequento questo genere, eppure…

Il secondo, pur sapendo che mi sarebbe piaciuto, mi ha ulteriormente sorpreso, per tanti di quei motivi che se li spiegassi qui mi troverei nell’imbarazzante ruolo di delatrice…

Per cui, oltre a dire che ne sono stata piacevolmente coinvolta, non rivelo altro… leggetelo!

Ah, dimenticavo: storia nella storia, filo conduttore, un finale a sorpresa.

sabato 13 dicembre 2008

Orfana di mia figlia




Leggere un libro e sentire il cuore di chi lo ha scritto, questo è quanto ho provato nel leggere “Orfana di mia figlia” di Morena Fanti.

Un libro che racchiude l’essenza di un dolore così grande che non si può immaginare, e che quando lo si vive è indicibile strazio.

Morena è stata privata del suo affetto più caro, Federica, l’unica, adorata figlia, che a soli ventiquattro anni ha perso la vita il 2 ottobre 2001, investita da una macchina. Cosa accade a una donna colpita così duramente nel suo amore più viscerale ed esclusivo ?

Come si può riprendere il filo della propria esistenza quando lo squarcio che ti ha portato via un pezzo di te non riesce a richiudersi?

Il tempo, forse, sarà l’unico palliativo anestetico in grado di alleviare un dolore tanto atroce.

Come madre ho compreso la portata e la complessità di un tale lutto devastante, ma non posso sapere cosa vuol dire doversene convincere nella realtà quotidiana.

Morena ci rende partecipi coraggiosamente, lucidamente, del suo vissuto, con parole pacate, quasi a voler salvaguardare in un ultimo sforzo sovrumano quel nucleo di sé costretto a sopravvivere.

È un urlo tacito, eppure io l’ho sentito in ogni parola, attraversare soglie di disperazione nel tentativo di non soccombere.

La rassegnazione è un patto con la vita, una sconfitta da pattuire con la morte.

Federica rivive nelle cose che ha lasciato incompiute, nei gesti che di lei ricordano parenti e amici, negli oggetti che la madre accarezza e ripone, nell’impegno sociale che la connotava.

Malgrado l’atroce dolore, Morena riesce a trovare la strada per continuare ad operare nel sociale con quella stessa generosità che animava le scelte di sua figlia, e ancora a condividerne gli ideali.

È una donna che non si piega allo schianto e trova la forza di far rivivere in ricordi struggenti sua figlia, affinchè sia conoscibile anche a noi che, grazie a questo libro, non la dimenticheremo mai.

Senza prescindere dalla tragedia, il libro trascina, per l’ottima scrittura dell’Autrice per la misura con cui riesce a contenere, seppure a fatica, l’insostenibile pesantezza dell’essere.

Avvolgo Morena con quell’abbraccio che più volte avrei voluto darle, mentre leggevo, e che me la fanno sentire vicina, come madre e come donna.

venerdì 31 ottobre 2008

Renzo Montagnoli

L’anno scorso ho presentato in questa bella villa patrizia i Canti celtici, il mio poemetto sull’importanza del recupero della memoria per saper vivere il presente e anche per fare progetti per il futuro.

Poi ho scritto Il cerchio infinito, una silloge sul mistero della vita.

Con la presente annuncio che siete tutti invitati alla presentazione di questo mio ultimo lavoro e che si terrà sempre a Chiari (BS) nel corso della Rassegna della Micreditoria Edizione 2008.

L’evento avrà luogo Domenica 9 novembre alle 16,30, ovviamente a Villa Mazzotti, e al secondo piano, nello studio del conte, analogamente allo scorso anno.

L’ingresso è gratuito e partecipare può essere anche l’occasione per vedere, oltre ai tanti libri esposti, il parco e questa bellissima residenza.

La vostra presenza sarà senz’ombra di dubbio graditissima.

Grazie a chi interverrà e anche a chi non potrà o non riterrà di presenziare.



Renzo Montagnoli






Il cerchio infinito

di Renzo Montagnoli

Introduzione dell’autore

Prefazione di Fabrizio Manini

In copertina “Galassia M 104”

fotografata dal telescopio spaziale Sptitzer della NASA

Elaborazione grafica di Elena Migliorini

Edizioni Il Foglio

www.ilfoglioletterario.it

ilfoglio@infol.it

Poesia silloge

Pagg. 70

ISBN: 978-88-7606-196 – 7

Prezzo: € 10,00



La vita, nel suo mistero, il tempo, nella sua incertezza, la distanza, nella sua imperfezione, sono il tema di questa silloge. È un tema unico, perché nell’universo tutto è infinito e nulla è lasciato al caso: il tempo, lo spazio, e, lasciatemelo credere, anche la vita (Dall’introduzione dell’autore).

L’elemento di novità che l’autore introduce è la concezione fisica di spazio-tempo nel loro significato comune di distanza, una distanza indeterminata nella quale l’uomo mortale trova la sua espressione di esistenza, cioè quella che chiama “vita”, in tutta la sua enigmaticità, incertezza, incompiutezza e soprattutto impossibilità a modificarla. (Dalla prefazione di Fabrizio Manini).







Per arrivare a Chiari e a Villa Mazzotti.



Dall'Autostrada:

E' possibile raggiungere Chiari dai caselli di Palazzolo S/O o di Rovato dell'autostrada A4 (Milano-Venezia).
Dal casello di Rovato é sufficiente seguire per Rovato centro, continuare per Coccaglio ed arrivare quindi a Chiari.
Troverete la Villa Mazzotti, con il suo grande parco, sulla vostra destra in prossimità del centro.
Dal casello di Palazzolo S/O e' sufficiente seguire per Palazzolo centro, prima di entrare in Palazzolo svoltare in direzione Brescia arrivando a Cologne, quindi seguire le indicazioni per Chiari.




Dalla Stazione:

La stazione ferroviaria di Chiari si trova sulla linea Milano-Brescia-Venezia.
Uscendo dalla stazione davanti a voi troverete un doppio incrocio con semaforo dove e' segnalata la Villa Mazzotti, seguire l'indicazione svoltando a sinistra, oltrepassare l'incrocio successivo proseguendo per Viale Mazzini finché sulla sinistra vi troverete l'imponente cancellata della Villa e il suo parco.





In Aereo:

Gli Aeroporti più vicini a Chiari sono quelli di Orio al Serio, da dove potrete prendere l'autostrada A4 in direzione Brescia, e di Montichiari, da dove potrete prendere prima l'autostrada A21 in direzione Brescia e quindi la A4 in direzione Milano.