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lunedì 7 marzo 2011

L’impegno di Maria Carmen Lama


Dal quotidiano “Il Giorno” del 5 marzo 2011 – Inserto Lecco, pag 11
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IL PERSONAGGIO – L’ARTISTA

L’impegno di Maria Carmen Lama
«Una poesia per dare voce alla sofferenza delle donne»

L’autrice racconta la forza e la magia delle parole

-  Robbiate -
"Poesie per dare voce alla sofferenza delle donne nei rapporti con gli uomini e nelle difficoltà che incontrano ogni giorno". Con queste parole, Maria Carmen Lama spiega "Prigioniere del silenzio", suo primo libro di poesie pubblicato da Aletti nel settembre 2010. Poco più di un mese dopo, sugli scaffali delle librerie è arrivato invece, sempre con Aletti, "Verso la poesia, alla ricerca di senso", un Saggio dove la Lama ha riletto i grandi poeti che ama: Emily Dickinson, Mario Luzi, Pablo Neruda, Eugenio Montale, Antonia Pozzi e Marina Cvetaeva, proponendo la sua interpretazione della loro poetica.
Sessantuno anni, Maria Carmen Lama è nata in provincia di Messina. Superiori al Liceo classico di Patti (nonché maturità magistrale) nel 1970, Carmen lascia la Sicilia per Milano. "Cercavo lavoro. Trovai un impiego, ma volevo insegnare. Nel 1975 partecipai al primo concorso utile e lo vinsi. Nel 1976 ero maestra a Milano".
Intanto la futura poetessa incontra Francesco, operatore Rai, robbiatese, che l'anno dopo diventa suo marito. Nel 1978 nasce Andrea. Nel 1977 ottiene anche il trasferimento nel circolo didattico di Robbiate. Dice "Ho insegnato a Verderio Inferiore, Robbiate, Bernareggio. Mi ero iscritta all'università statale di Milano, laureandomi in Filosofia. Nel 1992 partecipai al concorso per Dirigente scolastico e lo vinsi".
Prima sede a Calusco d'Adda, dove rimarrà per un decennio, la dottoressa Lama dirigerà poi l'Istituto Comprensivo di Cernusco Lombardone per concludere la carriera scolastica, nel 2006/2007, come Preside del "Medardo Rosso", Liceo artistico di Lecco. "Un'esperienza indimenticabile" ricorda.
Dice ancora: "La passione per la poesia è sempre stata forte. Durante gli anni impegnativi da Dirigente, era una sorta di evasione dalla lettura dei documenti scolastici. Cominciai a scrivere articoli per le riviste di settore. L'interesse per la scrittura diventava sempre più forte. Le prime poesie risalgono a dieci anni fa. Ho scritto poesie su diversi temi, ma in questo primo libro prevale una riflessione sulla sofferenza delle donne, nei rapporti con gli uomini e col quotidiano. Lo mandai ad un amico. Quando mi ritornò, i suoi commenti alle poesie erano così inattesi che mi spronarono a continuare. "Se ho saputo trasmettere questo - mi dicevo - forse qualcosa di buono c'è. Prigioniere del silenzio è nato così".
S.P.

di Sergio Perego
-  Robbiate -
Maria Carmen Lama ha 61 anni. Da dieci scrive poesie. Ha pubblicato "Prigioniere del silenzio" e "Verso la poesia, alla ricerca di senso", un Saggio sui poeti che ama.
D Carmen Lama perché questi libri?
Col primo volevo dare voce alla sofferenza delle donne. Ogni giorno ascoltiamo storie di donne maltrattate. La mia empatia con loro è totale. Ho voluto diventare la loro voce, perché si prenda coscienza che il problema esiste. Il libro è dedicato alle donne, ma anche agli uomini che le amano nella loro interezza. Se non è il tuo uomo che ti valorizza, non solo per il corpo, chi mai potrà farlo? Quanto al Saggio, è insieme una ricerca sulla dichiarazione di “poetica” di grandi poeti del passato, ed anche la mia personale interpretazione di alcuni poeti del Novecento e di poeti contemporanei “emergenti”.
D La sua prima poesia?
Risale a dieci anni fa. "Prigioniere del silenzio" è stato scritto in momenti diversi e non avevo intenzione di far diventare le poesie una silloge, ovvero una raccolta. L'idea è arrivata quando le poesie erano ormai più di cento.
D Da dove nasce questa passione?
Da studentessa amavo Leopardi. In generale la poesia mi apriva nuovi orizzonti. Le parole poetiche invitano a riflettere, ma sono anche suono, ritmo, musica.
D C'è stato un momento durante il quale ha capito che per lei scrivere sarebbe stato importante?
Sì, quando ho capito che scrivendo mi liberavo della sofferenza che mi colpiva guardando il mondo, e che era anche un modo per esprimere la mia gioia più grande. Con la poesia racconto i sentimenti, dunque me stessa.
D Il poeta italiano che ama di più?
Mario Luzi. Non è difficile come molti affermano, e ti costringe a riflettere. Le domande che il poeta si pone ti rimbalzano addosso. Lui non dà risposte, ma tu non puoi fare a meno di cercarle.
D Quello straniero?
Sono due donne, Emily Dickinson e Marina Cvetaeva. le loro poesie sembrano semplici, ma ti danno emozioni. Ti fanno pensare. Per me assumono carattere universale, perché tutti possono capirle e vi si possono riconoscere.
D Lei è stata a lungo insegnante, poi Dirigente scolastico. Questa passione l'ha aiutata nel suo lavoro?
Ricordo che verso la metà degli anni ottanta, con i bambini di Verderio Inferiore avevamo scritto un libretto di poesie. Quanto alla dirigenza, dopo la lettura delle circolari, leggere poesie la sera, era un ristoro.
D Un consiglio ad una giovane donna  che voglia cimentarsi con la poesia?
Leggere molto i grandi poeti, ma anche quelli contemporanei e poco conosciuti. Certo per scrivere devi avere qualche sensibilità che ti porti a desiderare di farlo. Una situazione che a tutti può sembrare banale, per il poeta diventa qualcosa di diverso. Un bell'esempio di questo genere è il francese Yves Bonnefoy.
D Un poeta emergente che ama?
La napoletana Cristina Bove. Le sue poesie sono originali e personali. A volte è difficile entrare nelle sue metafore, ma quando li leggi, i suoi versi si riconoscono. Ha un bel pubblico di lettori su Internet.
D Il poeta contemporaneo che non dovrebbe mai mancare in una libreria?
Franco Fortini. Negli anni sessanta-settanta il più grande. E poi la polacca Wislawa Szymborska, per il suo scrivere semplice ma profondo, Nobel nel 1996.
D Perché un Saggio?
Volevo capire quali fossero le poesie che possiamo definire vere, ma anche chi è il vero poeta. Ho studiato. Poi ho deciso che avrei scritto. Dietro a questo Saggio ci sono tre anni di lavoro. Sono partita da Orazio, sono transitata per il Ducento-Trecento e poi, saltando qualche secolo, sono arrivata al Parini, che rappresenta quella cesura tra classicismo e illuminismo, che ho voluto evidenziare già a partire dalla sua stessa poetica, e nell’excursus storico successivo ho preso a riferimento poeti ritenuti innovatori dell’arte poetica, Infine i simbolisti e i contemporanei.
D Chi sono per lei i veri poeti?
Quelli che aiutano a riflettere, come Luzi, Montale, Ungaretti, tanto per citare solo tre dei nostri “grandi”.

mercoledì 9 febbraio 2011

Remo Bassini





Perdisa edizioni.
Prezzo euro 14,00 Pagine 176
Isbn 978-88-8372-497-8
Ordinalo su Ibs


Un libro che ho letto tutto d’un fiato, in poche ore, ma che mi ha preso giorni per poterne parlare.
Volevo essere sicura di non scriverne frettolosamente, volevo che le mie impressioni di lettura, le mie personalissime deduzioni, si chiarissero fino in fondo.
Il genere, apparentemente poliziesco, affascina e non provoca mai cali di attenzione.
La scrittura di Remo Bassini è tra quelle che mi piacciono per immediatezza, per fluidità, per le trame che sono sempre sostenute da motivazioni psicologiche dei personaggi, delineati con acuta osservazione dei comportamenti.
Forse una delle caratteristiche più evidenti è la scansione breve dei periodi, che conferisce una particolare snellezza alla narrazione.
La ripetizione martellante dei nomi, ricorrente nell’intera struttura, è funzionale a tutto l’impianto; se ne viene irretiti, permette di tenere a mente i protagonisti  che, dalle relative caratteristiche,  dichiarano l’insubordinazione a qualunque tipologia scontata.
La provincia e i suoi portici nell’ombra. Sentimenti profondi disattesi, la giustizia incompiuta. La beffarda prevaricazione di chi ordina e ottiene forte della propria intoccabilità.
Un manichino a testimone di soliloqui e segreti, di andirivieni disperati, di progetti di vendetta e di attese.
Ci sono uomini che sembrano appartenere all’oscurità, e donne che ne sono vittime. Anche uomini che le tenebre vorrebbero diradarle.
Ma tutti chiedono attenzione, tutti si presentano allo scrittore con prepotenza, vogliono essere presentati, raccontati senza mediazione. L’Autore non può fare altro che ascoltare, annotare, narrare.
Quante cose nell’oscurità! Quante ne può immaginare e realizzare la mente umana! Tante da sembrare impossibili, eppure bisogna prendere atto che sì, esistono, misteriose anche, come solo il Male ne produce e nasconde.
Accertatevi di avere ben chiusa la porta.
Sistematevi nella vostra poltrona preferita.
Tenete la luce accesa sul tavolino.
Ve lo consiglio.
E cominciate a leggere.

Cristina Bove

giovedì 6 gennaio 2011

Il percorso degli incubi - Enrico Gregori



Un tandem che funziona, specialmente quando c’è da cercare l’introvabile, è un duo vincente.
Posso sembrare sibillina, e in effetti lo sono, ma non vedo altro modo per far incuriosire senza  nulla  svelare.
Si corrono grossi rischi, non solo per il tandem, ma anche per me, se ne comincio a parlare troppo e lascio trapelare qualcosa che è meglio scoprire da soli.
Allora come faccio a consigliare di leggere un libro, giallo o noir che sia, e invogliare a farlo senza lasciarmi sfuggire nemmeno il minimo indizio?
Ci provo dicendo che, primo, è di Enrico Gregori. E dovrebbe bastare, ovviamente per chi già ne conoscesse l’inimitabile cifra stilistica
Secondo, è un romanzo intrigante, realistico, godibile, accattivante sia sul piano formale che concettuale.
Terzo, è una storia narrata da qualcuno che conosce l’ambiente in cui si svolge la vicenda, che è sempre attento ai particolari, e che si serve con disinvoltura della sua competenza specifica, supportata dall’accuratezza della ricerca storica.
Non mancano l’ironia intelligente e un po’ dissacratoria, il gusto del sovvertimento, e una certa propensione epicurea ai piaceri della vita.
 Io, che pure non sono una cultrice del genere (ed è sicuramente un punto a suo favore), mi sono appassionata talmente ai suoi libri che li ho letti e apprezzati tutti.
“Il percorso degli incubi” non fa eccezione.
Ci si sorprende a starsene attaccati alle pagine, senza poter smettere, se non alla parola fine.
Probabilmente la sua professione di Caposervizio della cronaca nera di uno dei maggiori quotidiani italiani, Il Messaggero (Roma), lo rende uno scrittore esperto e attendibile sotto molti aspetti, investigazioni, gerarchie delle forze pubbliche, criminalità di ogni genere.
Questo non gli impedisce, comunque, di condire le vicende con precise escursioni storiche e qualche gradevolissimo tratto romantico.
Qualità che supportano acutezza non comune, e anche un’attitudine all’approfondimento  psicologico dei personaggi.
Il tandem ne passa di tutti i colori, trasvola, sorvola, s’invola. Ma atterra che …

Cristina Bove


per acquistarlo:
http://www.amazon.it/percorso-degli-incubi-Enrico-Gregori/dp/8860031273

giovedì 23 dicembre 2010

Mia figlia Follia



Mia figlia follia
di Savina Dolores Massa
Lei è una donna libera, almeno così sembrerebbe, Maddalenina dei celtrini, avrebbe scelto giorni di primavera se non avesse invece dovuto piegarsi alle stagioni.
Si può essere donne di casa, di giardini, di orti, di armadi e di candele…
Si può essere madri di un pensiero diventato carne.
Donne di assenza che però sono più presenti delle madri-querce piantate al centro delle case vuote.
Lei è una che soffia sui ricordi per darsi almeno una sequenza.
E aspetta, madre dell’impossibile, nel raccontare il suo futuro alla bambina infiocchettata mentre la polvere si assesta sui gradini, asfissia l’ombra seduta sulla sedia.
E l’ombra ha fissità di pietra, meditabonda, ha pensieri che affollano ramaglie, alberi spogli, fronti mai accarezzate né baciate.
Savina è strega, la vedo intenta a rimestare storie come fossero serpi, cuori di stoppini, e sembianze sbiadite come dagherrotipi color seppia.
Volevo scappare via, fuggire oltre i nugoli di mosche che c’erano, sì, dovevano esserci, oppure no, non lo ricordo. Ma che ci fossero o meno nulla cambia, perché poi restavo, davanti al pentolone, a bocca aperta: e adesso che ci mette, Savinamaga, ancora?...
E ancora, ce ne stava.
Credete che sia un libro?Eh no, è il cubikubrik di Savina Dolores Massa.
È il Silmarillion di nostra signora d’Ichnusa.
Che le parole mica le sorprende sopra la tastiera, nooo, lei le estrae dalle dita, a volte le sospende sulle pagine, in equilibrio, qualcuna l’ho potuta scorgere aggrappata a filo del foglio.
E poi, e poi, voglio portare il ritornello di un albero sospetto, fresco o secco: sarà come sarà, o come si vorrà?...
Scommetto che lo vorreste sapere!
Ok, leggete il libro.


CriBo

il libro è acquistabile presso tutte le librerie, oppure Qui

sabato 11 dicembre 2010

da "Il Foglio letterario"

IL FOGLIO LETTERARIO EDIZIONI
Associazione Culturale
Editoria di qualità dal 1999
Sito internet: www.ilfoglioletterario.it







RICORDIAMO LO SCONTO 50 PER REGALI DI NATALE SU TUTTO IL CATALOGO VALIDO PER I SOCI E PER GLI AUTORI DEL FOGLIO LETTERARIO



TRE NUOVI TITOLI DICEMBRE 2010



(copertine allegate)



BENIAMINO BIONDI

IL VOLTO DELLA MEDUSA

IL CINEMA DI NIKOS KOUNDOUROS

https://mail.google.com/mail/?ui=2&ik=40232f55ef&view=att&th=12cd685def8307ea&attid=0.2&disp=inline&zw

TASCABILE - CINEMA

ISBN 9788876062940

Pag. 46 – € 6,00



Nikous Koundouros è uno dei maggiori registi di un paese, la Grecia, la cui cinematografia è stata sempre, a torto, ritenuta minore. Persino la grandezza oramai acquisita di Thodoros Anghelopoulos non è riuscita a diffondere nel mondo le opere di numerosi altri cineasti dal ricco immaginario, dalle inquiete tensioni morali, da una ricerca formale inesausta e suggestiva. Nikos Koundouros, salutato come un genio dal giovane critico Francois Truffaut, è il padre del cinema greco d’autore, colui che ha reso la forma cinematografica come forma d’arte e di intervento culturale. A questo cineasta difficile e contraddittorio, noto per il suo carattere irascibile, si devono alcuni certi capolavori: O Drakos, che ha anticipato con modernità sconcertante le tematiche dell’alienazione e del cinema esistenzialista, e Vortex, prestigioso esercizio simbolico di raffinata avanguardia ed opera ancora oggi ignota e maledetta. Un regista la cui poetica della dissolvenza e del brulichio, che stratifica situazioni, destini ed idee, compone una visione totale del mondo, irrimediabilmente greca e dunque irrimediabilmente europea. L’intera cinematografia di Nikos Koundouros possiede tratti originali ed è riferimento costante per tutti i cineasti della Grecia, che a lui guardano ossequiosi come ad un “maestro”.



Beniamino Biondi è nato il 12 maggio 1977 ad Agrigento. Poeta e saggista, si occupa di teatro e cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e svolge attività di drammaturgo e regista teatrale. Come relatore partecipa inoltre a numerosi convegni e giornate di studio. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerosi volumi di scrittura creativa e critica.

Contatti:

http://www.beniaminobiondi.it

http://giapponeunderground.blogspot.com

***



Edizioni Il Foglio

Narrativa

www.ilfoglioletterario.it



SAURO TESTI

Il vento di Argoub

https://mail.google.com/mail/?ui=2&ik=40232f55ef&view=att&th=12cd685def8307ea&attid=0.3&disp=inline&zw

ISBN 9788876062902

Pag. 158 – € 12,00



Solo le ombre della notte rendono inquieti quei luoghi, e il pericolo si annuncia incalzante con rumori di passi nella oscurità. In fondo è una cosa normale: siamo in piena estate. Infatti è una storia sapientemente costruita con cose normali, mattoni che però sono spesso posti, lungo lo sviluppo della trama, in inquietante equilibrio. Nasce così la suspense, anch’essa apparentemente normale, ma subito, un paragrafo dopo, diventa angosciante; altre volte fantastica, ma non meno inquietante. Una storia così normale che ti sembra di esserci, così normale che ti fa soffrire, così normale da es-sere terribilmente credibile.

dalla prefazione di

OSCAR MONTANI



Il deserto è custode di semi che aspettano la pioggia... Ma le gocce di pioggia non sono le lacrime del ramengo che si accontenta di vivere sfidando quello che il destino scritto da altri ci impone e il nostro coraggio di vivere abbatte.



Sauro Testi. Nato a Bucine (Arezzo) nel 1963, educatore professionale presso il DSM Salute Mentale sino al 2004, da allora è sindaco del comune Bucine. Responsabile Anci Cooperazione e pace per la regione Toscana è volontario in alcuni progetti di solidarietà con il popolo Saharawi nel deserto algerino. Ha pubblicato Perestroika Gambassi nel 2000, Le Storie di Pimus nel 2004 (Edizioni il foglio), Riabilitazione psichiatrica in Valdarno nel 2006 (Magma edizioni), La leggenda del Pino Gobbo nel 2006 (Edizioni il foglio), Diari dell’Africa nel 2007 (Edizioni Antinebbia), Pimus e i quatro bastoni nel 2008 (Edizioni il foglio), Il cancello dell’anima nel 2009 (Edizioni il foglio).

*Tutto il ricavato della vendita dei libri sarà devoluto a finanziare i progetti di cooperazione dell’Associazione Valdarnese Solidarietà Popolo Saharawi.

***





EDIZIONI IL FOGLIO

POESIA

C O L L A N A P L A Q U E T T E

I BLU



NICOLA VACCA

SERENA FELICITÀ NELL’ISTANTE

https://mail.google.com/mail/?ui=2&ik=40232f55ef&view=att&th=12cd685def8307ea&attid=0.1&disp=inline&zwISBN 9788876062926

Pag. 100 – € 6,00



...senza di te

è il vuoto la regola che distrugge...



Incamminarsi nella poesia, nella pura poesia. Non sono liriche di amore, queste, sono versi di oltreamore. Un vissuto che cadenza il ritmo quotidiano nelle sue diverse accelerazioni. Le piccole, le grandi cose che accomunano persone, che nascono da un incontro straordinario di bellezza e sentimento. Così scorrono le parole di Vacca, raccontando, raccontandosi. Non le solite e banali poesie sentimentali ma veri e propri capisaldi di poesia “sull’amore. Niente di più difficile può esserci per chi scrive, toccare profondità, elevarsi nell’animo, sorprendere con la semplicità apparente di un linguaggio universale. Nicola l’ha fatto.

Giulio Maffii

Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza vive a Roma. È scrittore, opinionista, critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani e riviste.

Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed eventi legati al mondo della poesia contemporanea. È il curatore del blog Nel verso giusto (http://nicolavacca.splinder.com). Ha pubblicato: Nel bene e nel male (Schena, 1994), Frutto della passione (Manni, 2000), La grazia di un pensiero (prefazione di Paolo Ruffilli, Pellicani, 2002), Serena musica segreta (Manni, 2003), Civiltà delle anime (Book editore, 2004), Incursioni nell’apparenza (prefazione di Sergio Zavoli, Manni, 2006), Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, Manni, 2007), Frecce e pugnali (prefazione di Giordano Bruno Guerri, Edizioni Il Foglio, 2008) Esperienza degli affanni (Edizioni il Foglio, 2009), con Carlo Gambescia il pamphlet A destra per caso (Edizioni Il Foglio, 2010).

mercoledì 1 dicembre 2010

Prigioniere del silenzio (silloge poetica di Carmen Lama)

Ho letto una prima volta la silloge “Prigioniere del silenzio” di Carmen Lama, e mi propongo di rileggerla, poesia per poesia. E dopo terrò questo libro sul mio comodino, per aprirlo ogni tanto e leggerne ancora una a caso.
Perché leggere i suoi versi è come sentirla parlare con la sua voce calda, come venire in contatto con la sua anima delicata.
È la prima volta che avverto questa sensazione di avvolgente amorevolezza nelle parole di un poeta e ne sono piacevolmente sorpresa.
Conoscevo già da tempo la bravura di Carmen nel recensire, così come nel poetare, la sua capacità di penetrare il mondo interiore di chi si esprime in poesia.
Ma in queste sue di oggi ho provato l’emozione di essere condotta per mano a una condivisione più immediata, alla comprensione profonda della condizione femminile, che la sua poesia disvela come tacita accoglienza del dolore, della fatica, del silenzio.

I versi si dipanano in un crescendo sempre più vicino alla cognizione dell’essere, come se l’Autrice mormorasse a se stessa le sue umane paure, il suo ripiegarsi in domande che sa senza risposte.
Eppure se ne avverte la forza, il coraggio di chi sa che è necessario affrontare ogni vicenda che la vita presenta, e in questo sentirsi umanamente parte del comune destino.
“…E aspetterò tempi migliori.
convincerò la mia anima
che stiamo insieme giocando
a nasconderci dal lutto
che incomberebbe,
spietato
sul cuore inerme…”

Nel pathos di alcune strofe si intuisce quanto abbiano inciso gli accadimenti drammatici, quanto abbiano scavato i disagi delle incomprensioni, e quanto fatto emergere, però, dell’intima bellezza di una mente che osserva e pacatamente annota:
“…ognuno ha la sua dose
di morte quotidiana:
ogni giorno che passa
accorcia il filo
che porta al traguardo.
E quando è l’ora temuta
ognuno muore
della sua propria morte
che è unica, speciale e solitaria…”

A volte l’Autrice ha schiarite, soprassalti di luce, in cui si esprime con fare giocoso, come se guardasse con occhi sempre nuovi il mattino, il fiore, gli occhi di chi ama.
E allora i suoi versi acquisiscono una levità armoniosa e arieggiata, un respiro di sole.
Altra emozione è seguirla nel suo percorso tra donne accomunate da un filo rosso, tra speranza e timore, mai rassegnate, solo pazienti, in attesa che il tempo appiani l’incertezza e la vita continui il suo corso.
Carmen ci comunica così il suo sogno di poesia, mai ammutolito, questo, perché il silenzio può chiudere la bocca ma non il cuore.
Così la sentiamo palpitante quando l’amore ha urgenza di essere chiarito. Quando il sentire si fa troppo acuto e nemmeno il dialogo con Dio può lenirlo.
Ma lei ci prova, acconsente al mistero, con la consapevolezza di chi riconosce nel proprio limite umano qualcosa di prezioso, benché celato.
E allora il suo canto diventa speranza e gratitudine.
Grande consapevolezza, anche:
“…Ma io comprendo, Padre
E ti ringrazio, pure.”
“…Preferisco sfidare il mio destino
e vivere quel che sento, qui, ora,
e non m’importa dell’inferno futuro,
né del paradiso, paranoia dell’uomo…”
“…Lasciami, ti prego, vivere la mia vita,
se vorrai guadagnarti
il tuo Paradiso”

La poesia di Carmen Lama è un ruscello dalle acque limpide che dissetano e ristorano.
I suoi versi infondono coraggio, trasmettono forza e voglia di vivere.
Lascio che sia lei a salutarvi così:
“Forse
la pagina più bella
della tua vita
non è ancora stata scritta.”


Cristina Bove




Si può acquistare, prenotandolo presso qualsiasi libreria oppure si può richiedere online all'Editore
a questo indirizzo: http://www.alettieditore.it/emersi/ott10/lama.htm
(in fondo alla pagina si clicca su "Ordina il libro" e si invia poi una e-mail con i dati utili), oppure presso l'ibs: http://www.ibs.it/code/9788864983684/lama-m-carmen/prigioniere-del-silenzio.html

mercoledì 29 settembre 2010

recensione Vie Traverse

Ho volutamente frazionato la lettura dei racconti di “Vie traverse” ed è stato un bene perché ho potuto assaporare l’eccellente diversità di ciascuno, pur avendo tutti la stessa matrice.

Emanuele Delmiglio è uno scrittore capace di scandagliare la psiche umana come pochi.

Si possono riscontrare tratti, nel suo ordine di pensiero, abissi e vette che appartengono a ogni uomo, con tutte le ansie e le paure che ne scandiscono l’esistenza.

È un punto ancora a suo favore se, nel narrare al maschile, è presente e risalta la figura femminile, portatrice di una possibile realtà misteriosa e affascinante, talvolta sgradevole, ma sempre riconducibile alla normalità che tutti conosciamo, la stessa che include anche il fantasticare.

Intuito e riflessione sono, secondo me, i due aspetti salienti e determinanti tra i quali l’Autore innesta il flusso delle sue storie.

Se ne apprezza l’inveramento, anche se la suggestione dei luoghi e dei personaggi, nonché degli avvenimenti, trasporta un una zona franca del pensiero.

Fantasia, la stessa dei grandi narratori di fantascienza, potrei ripercorrerne il filo ispiratore, ma preferisco volgere l’attenzione, invece, allo stile personalissimo di Delmiglio, alla sua trasognata scrittura, coinvolgente e sospesa.

Così come resta sospesa l’attenzione del lettore, preso dall’incalzare degli eventi, dall’impossibilità di prevedere la svolta successiva.

Credo che sia soprattutto questo il merito più straordinario di Emanuele Delmiglio, un segreto modo di condurre, attraverso la sua geniale immaginazione, al compiersi di realtà inquietanti o stupefacenti, a seconda dei personaggi, più o meno riconoscibili come nostri alter ego, nostri abitatori mentali.

Alcuni racconti mi hanno colpito più degli altri, non perché migliori, essendo tutti eccellenti, ma perché più vicini al mio mondo fantastico.

Un libro di suggestioni e turbamenti, narrazione che si snoda con fluidità surreale, eppure realisticamente ineccepibile, verso conclusioni inattese.

Agli appassionati di esoterismo sommesso, mai dichiarato, a tutti i coloro che sanno chiedersi e ascoltarsi e non smettere mai di stupirsi per le infinite risorse della mente, consiglio vivamente di leggerlo.

Dimenticavo: l’Autore ha uno stile decisamente originale, quindi alle storie si aggiunge anche il piacere di una scrittura colta e pertinente.

Buona lettura a tutti.

Cristina Bove

domenica 4 luglio 2010

Nicola, un’adozione coraggiosa


di
Giulia Basano


Ho letto un libro, ma sarebbe meglio dire ho letto una vita.
Perché di vita si tratta in questa cronaca straordinaria, di vite anzi, una che sembrava perduta, e l’altra che non ha permesso che lo fosse. E tante altre a contorno, nello stesso impegno.
Quello che colpisce in tutta la narrazione è l’assenza totale di autocommiserazione, non ve n’è la benché minima traccia, e sì che motivi per averla ce ne sono e tanti!.
Non credo che sia di tutti la forza e il coraggio di questa madre che, giovanissima, decide di adottare quel bambino, proprio lui, quello etichettato come ”un grosso carenziato, un bambino da buttare dalla finestra”.
Si rimane allibiti di fronte a tanta crudele indifferenza.
Ma Giulia no, non si lascia intimidire da questa diagnosi senza scampo, lei non ci crede, lei ha visto un barlume in quegli occhi neri, sente che non può permettere che un essere già così provato dall’abbandono, un bambino di quattro anni, istituzionalizzato e lasciato a sé stesso, sia ancora rifiutato e condannato all’annientamento. Ha capito che desidera ridargli la vita.
E così lo adotta.
Giulia non vuole che si dica che la sua esperienza è eccezionale, afferma invece che bisogna far diventare “normale” ogni vissuto di tal genere; che siano impegnati tutti nel sociale: medici, assistenti, insegnanti, amici, affinché tutti gli esseri umani con carenze più o meno gravi, abbiano il giusto aiuto, il diritto ad essere considerati e curati, ma soprattutto amati.
Lei sa che soltanto se ci saranno questi presupposti si potrà davvero affrontare la serie di problematiche che coinvolgono ogni aspetto esistenziale di un bambino prima, e di un adulto poi, dalle funzioni cerebrali compromesse; sa che si può ottenere l’impensabile.
Questa madre è riuscita a creare intorno al suo figlio “speciale”, uno spazio in cui gestire le conquiste ardue e sofferte, discontinue, le difficoltà ritenute spesso insormontabili, è riuscita ad ottenere comprensione e coinvolgimento emotivo, per sé e per Nicola.
Tutto il mondo che ruota intorno a questa storia è “speciale” , e lo ribadisco in contrasto con quanto espresso dall’Autrice, ma io non credo che siano tutti capaci di tanto, non credo che ci sia tanta abnegazione e tanto amore nella scelta di essere madre, così, madre!.
Consiglio di leggere questa storia vissuta perché può solo fare del bene, aprire porte chiuse dall’indifferenza e dalla rimozione.
Giulia Basano è un’insegnante, esperta di problemi sociali, donna colta, sensibile e attenta ai problemi dei giorni nostri, alle tragiche istanze di tanti genitori lasciati a sé stessi nella cura di figli disabili. La sua battaglia personale, vinta, le dà la forza di affiancare chi è impegnato nella stessa lotta.
A lei tutta la mia stima incondizionata, e la mia ammirazione anche come scrittrice.

Cristina Bove

Per l'acquisto del libro richiederlo  a Associazione Promozione sociale, Via Artisti 36, 10124 Torino,
tel. 011-812.44.69.

giovedì 1 luglio 2010

La stanza del castigo



di
Elisabetta Mori R.

Quando una lettura ti prende al punto che ti immedesimi nel protagonista, ne avverti quasi il respiro, ti sorprendi a prevederne le reazioni, vuol dire che l’Autore è riuscito a comunicare ben oltre le parole, benché di parole sia tessuto il tramite.
Nella piacevole narrazione di Elisabetta Mori si snoda la vicenda di Maria Sole, una donna che tenta disperatamente di riconoscersi tale, cercando di far confluire, nell’analisi della sua esistenza, la bambina vessata dalla madre, l’adolescente incompresa e frustrata poi, la giovane alle prese con esperienze di speranze e abbandoni.
Anni raccontati dall’io narrante in prima persona, quasi sdoppiato nel proporsi quale oggetto di analisi e soggetto di autoanalisi, ma sempre necessariamente presente a se stessa, in un’altalena di emozioni ed elaborazioni mentali da lasciare senza fiato.
L’Autrice trasmette tutta la sofferenza che può diventare la più assidua compagna di giornate morte. La cupezza che non dà tregua nemmeno quando l’amore offerto potrebbe essere salvifico.
Non soccombere a tanto è quasi un atto eroico, un estremo tentativo di raccogliersi nella propria consapevolezza e trovando in questa perfino la capacità di perdonare.
La comprensione con cui riesce a giustificare azioni crudeli, indifferenza e rifiuto, la fanno infine diventare la salvatrice di se stessa.
“… l’amore è un dio dalle molteplici facce…”
e , riferendosi alla durezza della madre: “… grazie alla stanza del castigo, potevo sperare di essere libera e in cammino verso un’esistenza accettata.  E compresi che il suo silenzio altro non era stato che sotteso amore, tenace determinazione di una madre affinché la figlia più fragile imparasse a vivere delle proprie pene.”
Un libro che arricchisce chi legge in un crescendo di compartecipazione emotiva.

Cristina Bove


Doppio ritratto


di
  Alberto Carollo

Questo che ho appena finito di leggere è un libro particolare, articolato sulla quotidianità dei rapporti  ma soprattutto sulla varietà delle sfumature psicologiche che li caratterizza.
Dimostrazione di quanto sia arduo penetrare i meandri della propria e altrui psiche, quando gli avvenimenti si susseguono senza tregua e con inevitabili interazioni che ne condizionano gli sviluppi.
In questo caso specifico, l’Autore riesce a spostare l’attenzione del lettore sulla complessità dei caratteri dei personaggi, “dipinti” sia quelli reali che quelli ritratti, con precise pennellate d’intuito.
Si intrattiene col lettore offrendo aspetti nuovi e articolati perfino delle motivazioni di un pittore.
E già questo sarebbe bastante a definire Alberto Carollo un investigatore a-temporale, uno psiconauta dell’interiorità e delle tematiche espressive.
Un libro per chi ama addentrarsi e conoscere se stesso e documentarsi su un aspetto insolito dell’Arte.

Cristina Bove

giovedì 11 marzo 2010

Giovanna Giordani



Recensione di Carmen Lama
 
Sulla riva del fiume
di Giovanna Giordani
- Aletti editore -

Sulla riva del fiume: prima silloge di Giovanna Giordani, giunta quasi a sorpresa per lei stessa, che forse non s’era posta prima d’ora il problema di condividere con interessati lettori il suo piacere per la scrittura in versi delle sue emozioni, dei suoi pensieri e sentimenti, attraverso una pubblicazione. Bella sorpresa, invece, per lettori che amano la poesia, come la sottoscritta.
Generalmente inizio la lettura di una raccolta di poesie cercando di decifrare il senso del titolo. In questo caso, mi è venuto in mente per associazione immediata il titolo di un libro di riflessioni sul senso della vita, Sono come il fiume che scorre, di Paulo Coelho. Ma, mentre in quel testo l’autore si identifica con il fiume e ripercorre, anche in senso autobiografico, il divenire e il mutamento continuo, per dar valore alle cose più semplici e belle, ho immaginato che Giovanna stesse invece “osservando” quello stesso divenire e mutamento continuo del mondo e della vita, standosene tranquillamente “sulla riva del fiume”. Il suo osservare, che in realtà si ritrova poi assorbito nei versi poetici, non è però passivo guardare, lasciar scorrere e lasciar accadere gli eventi del mondo, bensì compartecipazione talmente profonda e intima da lasciare di sé impronta e segno visibile in ogni poesia.
L’autrice definisce il suo poetare non ricercato, ma semplice, vero, naif, quasi sottintendendo in questa definizione una sua naturale ritrosia, un suo non sentirsi vera poeta bensì solo una persona che voglia esprimere in versi la sua sensibilità.
E chi ha detto che bisogna scrivere poesie servendosi di lessico ricercato, che spesso potrebbe essere sinonimo di indecifrabile, difficile, non fruibile se non da pochissimi?
Ho piacevolmente assimilato la scrittura poetica naif (per tenere la sua originale definizione) di Giovanna Giordani alla semplicità con cui si leggono, si interpretano e si interiorizzano le sue poesie, poiché questa semplicità si accompagna ad una profondità di pensiero che dà modo al lettore di riflettere e di guardare con occhi nuovi il mondo e tutto quel che vi accade.
Già dalla prima poesia Ah, se potessi, l’autrice mette in primo piano la sua poetica dell’amore, che è il suo modo peculiare di osservare gli eventi del mondo, cercando delle strategie quasi magiche per realizzare il suo intento di vivere in armonia con l’universo, trasformando il suo essere “sillabe d’assenso” nel vero senso della vita che appunto nell’amore può risiedere e in nient’altro. In questo “la poeta” conferma il pensiero di Neruda che sosteneva che “la poesia è un atto di pace”. E non è un caso che la silloge si concluda anche con una poesia nella quale si vorrebbe capire il perché dell’esistenza del male e la sua origine, con la sottile ma non velata intenzione di capovolgerlo in bene.
I primi sonetti, ispirati da racconti, film, eventi reali, o semplici osservazioni della natura, confermano questa attenzione privilegiata della Giordani ai rapporti umani, al senso vero dell’esistenza e alla profondità di un sentimento la cui durata potrà attraversare il Tempo e oltrepassarlo, anche soltanto grazie all’incisione di un nome.
Delicatissimi, poi, sono anche gli haiku, che in brevità e concisione distillano pensieri.
La terza parte della silloge, la più corposa per numero di poesie, è di una bellezza che non si può descrivere, bisogna sentirla e viverla. Ci si rende conto di ciò, a partire dalla poesia che ci presenta “Il volto del silenzio”: solo un poeta può “vedere” questo volto e scoprire perché… “mai saprà spiegare / tutta la luce / che gli brucia dentro”! … perché è un silenzio pregno di parole, di pensieri, di voce, ma non ha voce.
Un’altra bellissima poesia da segnalare è una meta-poesia, che però si contraddice alla fine. Si tratta della messa in scena dell’umiltà della poeta-autrice, ne’ La mia poesia è una regina scalza, che poi è anche una regina nuda e bianca e che, quando diventa nera e “cammina leggera / sulle dune, / (è) incurante se il vento / traccia non lascerà / delle sue impronte”: sta proprio qui la contraddizione della poeta, nel credere che la sua poesia non lascerà impronte, mentre invece le ha già lasciate proprio in questo suo essere movimento discreto che scruta negli anfratti dei cuori.
E si potrebbe continuare svelando l’implicita “semplicità profonda” o “semplice profondità” delle altre poesie.
Ma un recensore deve fermarsi un attimo prima di togliere al lettore il piacere, la sorpresa e la voglia di scoprire da sé il senso e la bellezza di ogni creazione poetica, potendo dare a sua volta libertà alla propria mente di ri-creare significati.
E dunque concludo, riassumendo l’invito a leggere questa silloge, con l’Haiku che mi pare la caratterizzi: “Bellezza”: Alto vertice / di rara perfezione / dono d’incanto.
Carmen Lama