Avagliano Editore (collana I corimbi)
Un libro che è un’autobiografia sui
generis, che si sofferma sugli aspetti adolescenziali dopo un momento tragico della vita di
Alessandro: la malattia che ha condizionato la sua vita di bambino, ma che lo
ha anche dotato di una sensibilità che solo chi ha sperimentato il dolore e la
paura della morte imminente può comprendere.
Sono trascorsi trent’anni da quei momenti cruciali, anni che hanno sedimentato nei ricordi e che, finalmente, sono emersi in tutta la loro chiarezza, grazie anche a un incontro che gli ha reso possibile visitare i luoghi della sua sofferenza e a fargli vincere la reticenza a parlarne.
È una storia di vita vissuta con la consapevolezza di chi è sopravvissuto a qualcosa di terribile, ma anche ha beneficiato di incontri importanti che lo hanno aiutato a superare la drammaticità di un evento dolorosamente incomprensibile per un bambino.
In questo nuovo libro, Moscè affronta il dopo, l’adolescenza con le sue pulsioni, ciò che lo ha portato a scrivere, e che gli ha dato l’opportunità di scandagliare l’amore, la passione per il calcio, la poesia, e l’affetto di chi gli è stato vicino.
Sono trascorsi trent’anni da quei momenti cruciali, anni che hanno sedimentato nei ricordi e che, finalmente, sono emersi in tutta la loro chiarezza, grazie anche a un incontro che gli ha reso possibile visitare i luoghi della sua sofferenza e a fargli vincere la reticenza a parlarne.
È una storia di vita vissuta con la consapevolezza di chi è sopravvissuto a qualcosa di terribile, ma anche ha beneficiato di incontri importanti che lo hanno aiutato a superare la drammaticità di un evento dolorosamente incomprensibile per un bambino.
In questo nuovo libro, Moscè affronta il dopo, l’adolescenza con le sue pulsioni, ciò che lo ha portato a scrivere, e che gli ha dato l’opportunità di scandagliare l’amore, la passione per il calcio, la poesia, e l’affetto di chi gli è stato vicino.
cb
Incipit
Il
ricordo dei natali degli anni
Settanta è come una magia, dopo il 20 dicembre. Ma negli anni Ottanta, quelli
della crescita fisica, non è stata più la stessa cosa. Fare l’albero, addobbarlo,
non era un gesto incantevole. Alessandro lo sapeva e se ne rammaricava. Gli
prendeva un groppo alla gola. Eppure la stella cometa di cartone era la stessa,
come le sfere multicolore, le stelle filanti e il pino di plastica che si
smontava. Ad accendere il passato era stato ancora una volta lo scantinato.
Alessandro era sceso nella sua grotta, come la chiamava, ed aveva aperto lo
scatolone del Natale chiuso con il nastro adesivo. C’era il vestito schiacciato
da una parte, il costume di Babbo Natale completo di copri stivali, cintura,
cappello, giacca e pantaloni con tasche nel morbido tessuto vellutato. La barba
era stata venduta separatamente. Taglia unica, XL. Lo indossava suo padre quando
lasciava i pacchi dono fuori della porta, dopo aver suonato il campanello due
volte. Alessandro e suo fratello ci credevano che sarebbe arrivato prima di
pranzo, intorno a mezzogiorno. E puntualmente, il 25 dicembre, arrivava il papà
di tutti.
“Mio caro Babbo Natale”, era scritto nella
letterina sotto i piatti di porcellana decorati con i fregi. Il nonno si
commuoveva mentre apriva il portafoglio e stirava le banconote da dieci mila
lire. Alessandro recitava, i cugini urlavano, gli zii battevano le mani e la
nonna portava in tavola i cappelletti in brodo cucinati con la polpa di maiale
e il pollo tritato. Quindi la stracciatella con il brodo di carne e la noce
moscata, la spezia che Alessandro non aveva mai capito dove si coltivasse. Poi
la faraona arrosto, la parmigiana di zucchine e il tacchino farcito. Il torrone
Bettacchi e il pandoro Bauli chiudevano il pranzo. Ci si metteva a scartare i
regali freneticamente. Le carte argentate e i fiocchi arricciati venivano
accatastati sotto il tavolo allungabile.
Dopo trent’anni i nonni non ci sono più. Non
c’è più neanche zia Mariella, che pepava la faraona e diceva sempre che bisognava
aggiungere il rosmarino e una fettina di pancetta. Alessandro si mette a sedere
sul divano della sala. Fuori ha nevicato tutta la notte. Accende la televisione
e passa in rassegna i canali. Quella volta lo schermo era in bianco e nero e le
partite di calcio si ascoltavano alla radio a transistor. C’era la domenica della
settimana di Natale che vedeva impegnate le squadre del cuore: la Juventus del
cugino Massimo e il Bologna di nonno Ernesto. La Lazio di Alessandro, dopo
l’euforia dell’anno dello scudetto, nel 1974, aveva smarrito le prime posizioni
della classifica e lottava per non retrocedere. Enrico Ameri e Sandro Ciotti trasmettevano
la radiocronaca delle sfide più importanti della giornata su “Tutto il calcio
minuto per minuto”, mentre la sera Paolo Valenti conduceva “Novantesimo
minuto”, dove scorrevano le prime immagini della domenica allo stadio. La
Juventus e il Torino si contendevano gli scudetti, mentre le squadre milanesi
arrancavano. “Novantesimo Minuto” era lo spazio più atteso di “Domenica in”, il
programma condotto su Rai Uno da Corrado, che aveva il suo epilogo, durante il
periodo natalizio, con la Lotteria Italia. Era una festa, sempre. Dopo le
partite il mercante in fiera, la briscola e il tressette. Nonno Ernesto fingeva
di sbagliare, giocando le carte, per far vincere i nipoti. Di notte si dormiva
poco e si parlava sotto voce, nella camera da letto.[...]