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sabato 13 dicembre 2008

Orfana di mia figlia




Leggere un libro e sentire il cuore di chi lo ha scritto, questo è quanto ho provato nel leggere “Orfana di mia figlia” di Morena Fanti.

Un libro che racchiude l’essenza di un dolore così grande che non si può immaginare, e che quando lo si vive è indicibile strazio.

Morena è stata privata del suo affetto più caro, Federica, l’unica, adorata figlia, che a soli ventiquattro anni ha perso la vita il 2 ottobre 2001, investita da una macchina. Cosa accade a una donna colpita così duramente nel suo amore più viscerale ed esclusivo ?

Come si può riprendere il filo della propria esistenza quando lo squarcio che ti ha portato via un pezzo di te non riesce a richiudersi?

Il tempo, forse, sarà l’unico palliativo anestetico in grado di alleviare un dolore tanto atroce.

Come madre ho compreso la portata e la complessità di un tale lutto devastante, ma non posso sapere cosa vuol dire doversene convincere nella realtà quotidiana.

Morena ci rende partecipi coraggiosamente, lucidamente, del suo vissuto, con parole pacate, quasi a voler salvaguardare in un ultimo sforzo sovrumano quel nucleo di sé costretto a sopravvivere.

È un urlo tacito, eppure io l’ho sentito in ogni parola, attraversare soglie di disperazione nel tentativo di non soccombere.

La rassegnazione è un patto con la vita, una sconfitta da pattuire con la morte.

Federica rivive nelle cose che ha lasciato incompiute, nei gesti che di lei ricordano parenti e amici, negli oggetti che la madre accarezza e ripone, nell’impegno sociale che la connotava.

Malgrado l’atroce dolore, Morena riesce a trovare la strada per continuare ad operare nel sociale con quella stessa generosità che animava le scelte di sua figlia, e ancora a condividerne gli ideali.

È una donna che non si piega allo schianto e trova la forza di far rivivere in ricordi struggenti sua figlia, affinchè sia conoscibile anche a noi che, grazie a questo libro, non la dimenticheremo mai.

Senza prescindere dalla tragedia, il libro trascina, per l’ottima scrittura dell’Autrice per la misura con cui riesce a contenere, seppure a fatica, l’insostenibile pesantezza dell’essere.

Avvolgo Morena con quell’abbraccio che più volte avrei voluto darle, mentre leggevo, e che me la fanno sentire vicina, come madre e come donna.

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